Stefano Nicolini continua con Boto il suo personale dialogo con il naturale riaffermando la propria scelta concettuale di contemporaneità attraverso la penetrazione della fisicità del nostro mondo, senza la cui conoscenza e comprensione non si può conoscere e capire fino in fondo l’essere umano.

Meraviglia, purezza, mistero, scoperta, dramma, alcuni degli elementi ricorrenti della fotografia di Nicolini, caratterizzano Boto.
La scelta di immagini evanescenti intende rispettare l’indole schiva dei boto, i delfini rosa, confermando loro quell’aura di mistero e inafferrabilità che ne ha creato il mito nell’intero bacino amazzonico. Pinne e rostri si dileguano verso l’oscurità impenetrabile della città sommersa in cui rapiscono giovani donne che seducono adottando le sembianze di uomini ammaliatori.

I toni, rossi densi, arancioni accesi e gialli ora pallidi ora intensi, che contraddistinguono l’intera serie fotografica, indicano nell’assenza d’uso di luci artificiali il desiderio dell’autore di limitare al massimo la propria invasione dell’habitat altrui, affidando quindi alla percezione più che allo sguardo l’assimilazione di uno spicchio di realtà occulta.
Nicolini dialoga però con l’evanescenza delle forme e l’ambivalenza dei cromatismi di Boto, simbolo al tempo stesso di vitalità e sofferenza, anche per denunciare l’insensata pesca massacro di cui sono vittime alcune popolazioni della specie.